La trasformazione rispetto al Diritto del Lavoro introdotte dal Governo Renzi con il Jobs Act sono state nuovamente trasformate, in particolare per ciò che riguarda le assunzioni a termine. Ciò è avvenuto attraverso il cosiddetto “Decreto Dignità”, il Decreto 87/2018 convertito in legge dello Stato n° 96/2018. Andiamo a vedere le motivazioni di questo cambiamento e in cosa consiste.
Le motivazioni del Decreto Dignità
Rispetto al tema delle assunzioni a tempo determinato, o a termine che dir si voglia, occorre rifarsi a quella che era la condizione occupazionale al momento del varo del Jobs Act.
La condizione occupazionale era parecchio preoccupante, con un tasso di disoccupazione alto e con trend in crescita. Occorreva in qualche modo intervenire e invertire la tendenza ma non solo, aumentare i posti di lavoro.
Le aziende ponevano con forza il tema della flessibilità come condizione per l’incremento occupazionale e questo ha considerato il governo nello studio di quello che è diventato il Jobs Act.
A fronte soprattutto della possibilità da parte delle aziende di licenziare lavoratori al fine di ottimizzare organizzazione e costi e accedere più facilmente a forza lavoro a termine, il Jobs Act ha colto questa esigenza di flessibilità intervenendo sullo Statuto dei Lavoratori.
All’epoca esistevano parecchi vincoli rispetto alla possibilità del ricorso a contratti a termine, con la necessità di dimostrare specifiche causali da parte delle aziende per avere contratti a termine. Con il Jobs Act si è data questa flessibilità alle aziende ponendo soli due vincoli, la durata massima del contratto a 36 mesi e la percentuale di lavoratori a termine non superiore al 20% della forza lavoro complessiva.
Le aziende hanno ampiamente fruito di questa nuova norma ma forse hanno anche un tantino esagerato: le assunzioni sono effettivamente aumentate ma la maggior parte dei contratti di lavoro stipulati da allora è stata a termine, spesso anche di soli pochi mesi o meno.
Questo ha generato per i lavoratori una forte precarietà del lavoro, oltretutto non potendo praticamente programmare nulla nella propria vita, non accedere a finanziamenti e mutui ma anche semplicemente vivendo in ansia rispetto al proprio futuro e delle famiglie.
Il Decreto Dignità
A fronte di queste problematiche nel mondo del lavoro, il governo Conte 1 è intervenuto con il proposito di scoraggiare il ricorso ai contratti a termine a favore di lavoro stabile per dare maggiore sicurezza ai lavoratori.
Con questo decreto, di fatto, è stata ridotta la flessibilità alle aziende. Ecco che con questo decreto convertito in Legge dello Stato, sono state reintrodotte le causali per l’assunzione a termine e ridotta la durata massima dello stesso.
Il contratto deve avere forma scritta e l’indicazione precisa del termine. Questo può non essere solo a fronte di situazioni particolari in cui il termine non può essere precisamente previsto, come nel caso di sostituzione per maternità.
L’obbligo di indicazione della causale interessa i contratti oltre i 12 mesi. Le causali devono essere riferite a particolari esigenze di punte produttive o per sostituzione di altri lavoratori e comunque relative ad esigenze temporanee ed estranee alla ordinaria necessità dell’azienda.
E’ stato ridotto anche il termine di durata del contratto che, determinato in 36 mesi dal Jobs Act, è ora stato ridotto al massimo a 24 mesi. Al fine di scoraggiare le aziende nel mettere in atto contratti a termine, è stato anche incrementato il costo di questo per le aziende.
Oltre ai costi precedentemente determinati, il Decreto Dignità ha determinato anche un maggiore costo del contributo pari allo 0,5% ad ogni rinnovo. E’ stato anche aumentato il tempo a disposizione del lavoratore per impugnare il contratto a fronte di presunte irregolarità, passando da 120 a 180 giorni il termine relativo. Infine, le norme relative all’obbligo di causale, reintrodotte così a modifica del Jobs Act, non si applicano alle attività stagionali.